IL PROCESSO MEDIATICO


Sezione convegni 
Sommario
: 1. Il processo mediatico. - 2. Il processo mediatico mette a rischio il processo in aula.
- 3. I tentativi di disciplinare il fenomeno. - 4. Quale il ruolo del difensore

1. Il processo mediatico

    Viene chiamato processo mediatico, anche se in realtà sarebbe più corretto parlare di attacco mediatico. In passato, si focalizzava soprattutto su casi giudiziari eclatanti riguardanti fatti di sangue, ma dai primi anni ’90 in molti paesi Europei, e in Italia con una violenza particolare, il bersaglio privilegiato è diventato la cronaca sulla corruzione politica e la criminalità economica. 

  Non appena emerge una indagine giudiziaria che coinvolge personaggi appartenenti al mondo delle professioni, della politica, dello spettacolo, e ben prima che le accuse arrivino a processo nelle aule di giustizia, il mondo dei media ha già allestito il tribunale, dato voce all’accusa ed emesso il verdetto; raggiungendo toni così prorompenti da portare all’annientamento dei principi basilari della nostra costituzione a partire dalla presunzione di non colpevolezza sancita dall’art. 27 della Carta Costituzionale. 

  L’attacco mediatico si palesa in varie forme: pubblicazione sui giornali di notizie coperte da segreto istruttorio; diffusione di intercettazioni penalmente irrilevanti; colpevolizzazione preventiva; annientamento della privacy di indagati e imputati. Un meccanismo infernale, che ogni giorno spazza via lungo il suo cammino carriere professionali, stabilità economiche, reputazioni, rapporti familiari, sociali e affettivi. 

  Il magistrato francese, Antoine Garapon, sul fenomeno afferma: «I media, soprattutto la televisione, pretendono di offrire una rappresentazione più fedele della realtà di quanto non la offrano le funzioni procedurali. Risvegliano il sogno della democrazia diretta, di un accesso alla verità liberata da ogni mediazione procedurale…ma questo ricorso selvaggio all’opinione pubblica è estremamente dannoso perché accredita l’idea che in una democrazia l’opinione pubblica sia il miglior giudice».

 

 

 

2. Il processo mediatico mette a rischio il processo in aula

  La spettacolarizzazione del processo mette in crisi la logica, il tempo, lo spazio e le regole del processo stesso. Fino ad arrivare alla conseguenza paradossale che la sentenza che si discosta dal verdetto mediatico viene guardata con diffidenza e quella che invece ne ribadisce il contenuto, viene percepita come la riprova che l’azione giudiziaria segue un percorso troppo lento, farraginoso e antieconomico, per raggiungere una verità che è a portata di mano. In sintesi : la scena mediatica si sovrappone a quella giudiziaria, l’assorbe, la sovrasta, qualche volta la condiziona e la manipola.

Quali le possibili conseguenze ? 

- Il ruolo di giudice, accusatori e difensori viene svolto da giornalisti o conduttori televisivi o, comunque, da soggetti estranei al processo senza le garanzie dello Stato di diritto.

– Esiste il pericolo che la rappresentazione mediatica del processo possa influenzare indebitamente il regolare e sereno esercizio della funzione di giustizia, mettendo a repentaglio l’indipendenza psicologica del giudicante, riversando la pressione del processo mediatico nel processo nella sede giudiziaria.

– L’attenzione sproporzionata su un certo caso può determinare una personalizzazione delle indagini che competono al Pubblico Ministero.

3. I tentativi di disciplinare il fenomeno

  La vera e propria esplosione di trasmissioni televisive che, con format diversi, trattano vicende giudiziarie, ha stimolato tentativi di intervento a vari livelli.

– Il primo intervento in ordine di tempo è quello del 2003 della commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi televisivi. La “raccomandazione” è la seguente: nei programmi della concessionaria del servizio pubblico, aventi per oggetto procedimenti giudiziari in corso, l’esercizio del diritto di cronaca dovrà essere garantito da soggetti diversi dalle parti che sono coinvolte e si confrontano nel processo.

– Il successivo intervento è quello del 2008 dell’AGCOM. Si tratta di un intervento di particolare rilevanza, perché ha come destinatarie non solo le emittenti pubbliche ma anche quelle private. Nel richiamare “alla tutela della dignità umana” unitamente al concetto di “diritto al giusto processo”, AGCOM invita alla redazione di un codice di autoregolamentazione con il concorso dell’ordine dei giornalisti e delle organizzazioni rappresentative delle professionalità della stampa, al fine di individuare regole di autodisciplina.

– L’anno dopo, è del 21 maggio 2009, l’emanazione del codice di autoregolamentazione siglato dai rappresentanti delle emittenti pubbliche e private (con la rilevante eccezione delle reti sky) da parte dell’ordine nazionale dei giornalisti e della federazione nazionale della stampa italiana.

– Ed è del 27 gennaio 2016, l’emanazione del testo unico dei doveri del giornalista approvato dal consiglio nazionale dell’ordine dei giornalisti.

  Ci chiediamo: queste raccomandazioni sono state recepite? A giudicare dalla gara al sensazionalismo e all’audience che si è scatenata negli anni successivi con il delitto di Cogne, Erba e Garlasco, sembra proprio di no. E molti di questi processi sono stati propagandati proprio da trasmissioni del servizio pubblico, come “Porta a porta”.

  E se a ciò aggiungiamo che da una ricerca effettuata con riferimento ai consigli di disciplina della Lombardia e del Lazio, non sono mai risultati procedimenti disciplinari a carico di giornalisti e che il comitato che avrebbe dovuto accertare le violazioni del codice di autoregolamentazione è stato costituito, ma dal 2012 non si è più riunito, sembra corretto concludere che i toni della eco mediatica sono sempre piu’ forti, amplificati oggi dai giustizieri della rete e dei social. 

 

4. Quale il ruolo del difensore?

  Il penalista in questo contesto, può e deve, difendere oltre che nel processo,dal processo. 

  La mia non è una posizione unanime, anzi non manca all’interno dell’avvocatura chi critica questo ulteriore impegno richiesto alla difesa, che si discosta parecchio dalle posizioni tradizionali. Tuttavia oggi il “circo mediatico-giudiziario”, per usare un’espressione del grande avvocato francese Soulez Larivière, è una realtà ineliminabile. Il rapporto con l’opinione pubblica è senza dubbio delicato, ma ignorarlo significa privare la difesa dei suoi diritti fondamentali.

  Gli avvocati che difendono clienti sotto attacco mediatico devono essere, ora più che mai, affiancati da agenzie di comunicazione, indispensabili appaiono le partnership con addetti stampa e web che diano voce anche all’imputato, al fine di riequilibrare l’informazione fortemente sbilanciata a favore della parte più forte, quella dell’accusa.

  Più forte perché è l’unica voce.

  D’altra parte in Francia e in Italia gli avvocati d’affari e i penalisti già da tempo fanno ricorso ad agenzie di comunicazione.

  La Vae Solis Communications, una delle agenzie di Parigi più importanti in tema di reputazione, ha creato una sezione dedicata alla “comunicazione giudiziaria”. Il gruppo Havas, leader mondiale della comunicazione, con filiali anche in Italia, opera nei processi economico-finanziari attraverso la Havas Legal & Litigation. La famiglia Franzoni, in Italia, per il processo Cogne, ha comunicato attraverso un ufficio stampa. La campagna di difesa mediatica di Amanda Knox, imputata e poi definitivamente assolta per l’omicidio di Meredith Kercher, è stata sia in Italia che negli Stati Uniti promossa totalmente nel web attraverso la creazione dei due forum www.friendsofamanda.org e www.injusticeinperugia.org. Fabrizio Corona, ha incaricato l’agenzia che cura l’immagine di personaggi noti come Elenoir Casalegno, Aida Yespica, Claudia Galanti per curare i suoi interessi di immagine durante le fasi processuali e addirittura durante la car- cerazione.

  Perché dunque non abbinare alla difesa nelle aule, la difesa della reputazione che viene attaccata ben prima che nel nostro ordinamento si faccia giustizia? I modelli difensivi si adattano alla realtà che cambia e la “difesa mediatica” intesa come uso professionale della comunicazione a scopo difensivo durante un processo appare l’ unica scelta possibile per ottenere giustizia anche fuori dall’ aula sempre più vuota e lontana .

  L’obiettivo principale è quello di proteggere l’immagine dell’azienda o del personaggio coinvolto e mitigare eventuali danni reputazionali derivanti dal caso, cercando di mantenere la fiducia dei clienti, degli investitori e dei cittadini in generale.

 Le attività comprendono la pianificazione strategica, la gestione dei media,la comunicazione coerente e la risposta alle critiche.

  Nel tribunale mediatico il diritto rischia di rimanere imbrigliato nell’opinione pubblica, che trasforma l’indagato in colpevole. Esiste una sola voce, quella dell’accusa. Forte e prorompente. 

  La difesa mediatica dando tempestivamente voce all’ indagato quando subisce l’ attacco, appare, quindi, l’ unico modo concreto per avvicinarsi alle indicazioni che provengono dal Consiglio d’Europa e dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo che sottolineano il doveroso rispetto della presunzione di innocenza per garantire la dignità al cittadino. Sottoposto alla giustizia penale e mediatica.

Matteo De Luca

Estratto – L’autore riflette sul rapporto tra giustizia ed informazione, focalizzandosi, in particolare modo, sulle conseguenze della sovraesposizione mediatica del processo. L’analisi si allarga ai vari tentativi di regolamentare il fenomeno, non da ultimo la cosiddetta “legge bavaglio”. Un’ultima riflessione riguarda il ruolo del difensore e le eventuali contromosse adottabili al fine di scongiurare, o quanto meno limitare, gli effetti pregiudizievoli derivante da questo fenomeno.
Abstract – The author reflects on the relationship between justice and information, focusing, in particular, on the consequences of media overexposure of the trial. The analysis extends to the various attempts to regulate the phenomenon, not least the so-called “gag law”. A final reflection concerns the role of the defender and any countermoves that can be adopted in order to avoid, or at least limit, the prejudicial effects deriving from this phenomenon
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